Giorni fa mi capita sottomano un libricino piccolo piccolo, di Hermann Hesse, della vecchia collana 100 pagine 1000 lire Newton. E come una calamita cattura subito la mia attenzione: il titolo è tutto un programma, Vagabondaggio. E l’intuizione era corretta, quel libricino aveva qualcosa da dirmi. Sì si, proprio a me 😀 Pochissimi capitoli, ma un concentrato di senso del viaggiare.
Il protagonista è un vagabondo, un cercatore inquieto, e di sé stesso dice:
“Io sono un nomade, non un contadino.
Sono un adoratore dell’infedeltà, del mutamento, della fantasia. Non tengo in nessun conto l’idea di inchiodare il mio amore a una qualsiasi chiazza della terra ”
“la vita errabonda vera e propria, quella che io amo, il vagare senza meta…
Ho una particolare propensione a vivere di ciò che ho nel tascapane e ad andarmene coi pantaloni sfilacciati”
“Noi viandanti siamo tutti così. La nostra smania di vagabondaggio e di vita errabonda è in gran parte amore, erotismo.. Quell’amore che apparterrebbe alla donna noi lo dissipiamo profondendolo al villaggio, alla montagna, al lago, alla voragine, ai bimbi sul sentiero. Noi liberiamo l’amore dall’oggetto. L’amore da solo ci è sufficiente. Così come nel nostro vagare non cerchiamo la meta, ma solo il godimento del vagabondaggio per sé stesso. L’essere in cammino”.
E fin qui Hesse ha fatto centro. Il viaggio come libertà, ricerca d’identità, come biografia dell’anima, anche pagando il prezzo inevitabile della solitudine e della mancanza, live-motive di sottofondo. Un’anima che non conosce limiti né conflitti, e adora fantasticare. E prosegue il proprio cammino seguendo la sua sete di conoscenza. Un uomo senza maschere e senza difesa, per il quale nessuna meta raggiunta è una meta, ogni via è solo una traversa.
Il problema è conciliare tutto questo con la realtà (soprattutto quando si mette su famiglia). Problema anche mio, come credo di qualunque appassionato di viaggi, che richiede la capacità di stabilire una sottile linea di demarcazione tra quotidianità e aspirazioni …che poi uno ci riesca è altra storia :-).
La mia realtà per 20 anni – maròòò come passa il tempo – è stata di viaggi fatti solo per passione, quando il blog non esisteva proprio nei miei pensieri, e negli ultimi 15 allo spostamento per piacere si è affiancata una prova ben più grande, e indubbiamente difficile. Quella del nomadismo, dello spostamento per necessità, per lavoro, per tirare il carretto.
Ho sperimentato sulla mia pelle cosa significa essere expat, vivere all’estero, mettere tutta la tua casa su due camion e passare il confine. Altra lingua, altre abitudini, altra mentalità. E la parabola dell’emigrante, prima con gli occhi pieni di stupore, bellezza, curiosità per poi negli anni accorgersi che per carità lo scambio culturale, il confronto con l’altro, la mente aperta sono tutte ricchezze pazzesche, necessarie…ma tutto sommato il bilancio finale ha fatto fare un balzo in avanti a casa tua. Tu sarai sempre un expat e ci sara’ sempre una parte di te alla quale manchera’ la tua terra, le tue radici.
Ho sperimentato sulla mia pelle il vivere in 6 città diverse (e non è mica finita!!). Cosa significa ricominciare da zero e ricostruire tutto ogni volta senza nessun aiuto, dalle persone, ai colloqui lavoro, dalla mappa dei riferimenti nel quotidiano in un luogo che non conosci. Sei un bambino, devi re-imparare, ma non hai più l’elasticità dei piccoli. E ti cambia, nel profondo. E’ bellissimo avere il previlegio di dedicare una parte della propria vita a vagabondare senza meta, a conoscere cose, situazioni, persone diversificate. Ringrazio di questa opportunità.
Ma per avvicinarsi a un equilibrio sento che bisogna sterzare ancora, baricentrarci in un luogo almeno fino a quando nostra figlia sarà cresciuta un po’, per permettere a lei di avere le sue piccole radici e a me di imparare a fermarmi almeno per un po’ (non ho detto smettere di viaggiare 🙂 ma solo smetterla col nomadismo). Quindi, occhio al 2014, novità in atto, è un po’ come la canzone di Battiato :
“Cerco un centro di gravità permanente
… over and over againnnn”
ps. magari in futuro su questi schermi vi saprò dire se sono riuscita a trovarlo 🙂
E come si fa a non apprezzare ogni singola parola…
Io nomade lo sono per nascita, per necessita’ e per “circostanza”!!
Bello Monica…
ho la “vaga” (un eufemismo) impressione però che gli altri ci vedano come degli “spostati”… non che la cosa mi tocchi più di tanto 😀
Ahahah, tranquilla… io sono vista come quella “strana” e mio marito come il “folle” che mi asseconda…
gran bella coppia, e a breve vi conoscerò di persona 😀
siiiiiii… non vedo l’ora!! 🙂
Ho sperimentato con mio marito una sorta di vita nomade (tre traslochi in tre anni…) Penso che senza figli e da giovani si possa anche fare, ma quando ti trovi una bambina di cinque anni che singhiozza per ore chiedendo di amichetti e maestre che non vede più e ti prega di non cambiare più casa, capisci che hai finito di sognare mirabolanti trasferimenti. Dai le radici al cucciolo e lasci il marito a fare il pendolare. Poi quando il cucciolo è cresciuto ti rinfaccia di non essere andati ad abitare in Canada o altro… Eh sì, come si fa si sbaglia!
consolante, ahahhaha … insomma non c’è proprio speranza. Aspetto che in Canada ci vada colle sue gambette (così me lo giro a ruota). Baci
Che bello capitare qua 🙂 ho sbirciato qua e là con curiosità e condivido il pensiero di questo post 🙂
“Cerco un centro di gravità permanente, over and over again”, mi sento anche io così 🙂 alla fine lo siamo tutti, ma qualcuno un po’ di più 🙂
ciao, benvenuta da queste parti nel mio angolo virtuale 🙂 roba da vagabondi, da nomadi o cercatori di equilibri 🙂